Gli Ussari a Ronciglione

Gli Ussari a Ronciglione

Storia
Perché si parla di Ussari a proposito del Carnevale di Ronciglione? 
Le spiegazioni sono diverse e come sempre c’è una leggenda di riferimento. 
Come ogni buona leggenda anche questa si rifà a una narrazione orale che nel passaggio delle generazioni ha unito avvenimenti storici particolarmente impressionanti e fantasia volando con passo lieve sulla rigorosa intransigenza degli storici.
Gli studiosi indicano che il drappello degli Ussari cominciò a partecipare al Carnevale di Ronciglione a partire dal 1866. Il significato del loro passaggio ha perso nel tempo, il valore di testimonianza documentaria a favore di quello “scenico”.
Nel grande spettacolo che è il Carnevale l’incedere ordinato degli Ussari e la galoppata squarciano il velo magico che separa la realtà dal suo contrario, aprono la strada al carnascialesco mondo rovesciato. È per questo che l’attenzione filologica nella scelta dei costumi perde di importanza.
Non posso fare a meno di pensare alle vecchie fotografie, un po’ ingiallite e con i bordi dentellati, in cui mio padre, Nazareno Mordacchini Alfani, memorabile capitano degli Ussari, viene ritratto, su bellissimi cavalli bianchi o morelli, con preziosi colbacchi o con mantelli svolazzanti. 
Il battaglione è diventato negli anni un manipolo di moschettieri, un gruppo ordinato di messicani, una squadriglia di pseudozorro e altre varianti che non ricordo.
Non posso, però, dimenticare l’emozione prima uditiva dello sbattere degli zoccoli sull’asfalto ampliata poi dal vociare eccitato che annuncia la galoppata e quindi l’entusiasmo nel vedere la staffetta che veloce risale il corso, e di seguito il capitano che galoppa con il busto rivolto all’indietro a controllare le terziglie, e in fondo, a chiudere, il serrafile.
Si tratta in realtà solo di pochi istanti, ma sono attimi intensi in cui si è travolti da un’esplosione di energia che deflagra dalle zampe potenti dei cavalli.
Trattenuta dagli esperti cavalieri dentro le fila ordinate del drappello, quella stessa energia verrà poi lasciata libera di manifestarsi nella guizzante euforia del Carnevale.

In considerazione del fatto che ormai si è fatta chiarezza sugli Ussari, resta da scrivere un poco su quelli che, per la nostra storia ci interessano da vicino, e cioè quelli francesi.
Tutte le nazioni del mondo a partire dal XVIII secolo dotarono i propri eserciti di Ussari, proprio memori dell’importante vittoria per la difesa di Vienna conclusasi il 12 settembre del 1683, dove gli Ussari alati polacchi caricando d’istinto le postazioni turche, che già da diversi mesi assediavano Vienna, nonostante fossero accerchiati, seminarono morte e panico, grazie alla loro abilità di sciabolatori. Una grande tela del XIX secolo, nella pinacoteca dei Musei Vaticani, ne ricorda l’impresa.
Gli Ussari francesi, durante il periodo, pre e post rivoluzionario e per tutto quello Napoleonico, non furono da meno, la loro fama crebbe rispetto a tutti i reparti della cavalleria pesante, corazzieri e carabinieri, e di quella leggera: lancieri, cacciatori e dragoni. Gli Ussari furono la cavalleria leggera d’elite. 
Noti per la loro audacia in battaglia, erano considerati dei abili sciabolatori; tant’è che Antoine Charles Louis, Conte di Lasalle, Generale di divisione, divenne noto per le sue imprese in testa alla famosa “Brigata infernale” del 5° e 7° Reggimento Ussari nel 1806, nella campagna contro i Prussiani. 

Per questa impresa divenne una leggenda. Morì poco più che trentenne mantenendo fede a ciò che soleva spesso dire: “un Ussaro che si fa uccidere dopo i trent’anni è un fanfarone”. Nessun altro cavaliere ha avuto lo spirito sprezzante, spavaldo e audace che ha reso gli Ussari un corpo leggendario.
Nel 1799 quando l’esercito napoleonico, proveniente da Roma passò per Ronciglione, per portare aiuti per la guerra che i Francesi stavano combattendo contro gli Austro-Russi, ci fu un poco accorto tentativo, da parte di alcuni compaesani, di opporsi al passaggio, formando delle barricate presso porta romana, che vennero spazzate con poche cannonate, seguite da altre sparate a mitraglia.
È cosa certa che con quella parte dell’esercito napoleonico, ci fosse il 7° Ussari che insieme al 3° e al 5° Reggimento era considerato il più famoso per le sue gesta che avevano dell’incredibile, come quella di vincere una battaglia navale. 
Difatti il 7° Ussari, nel 1794, era stato dislocato in Olanda e durante l’inverno, approfittando dei fiumi ghiacciati, il reggimento puntò verso il territorio nemico, in un luogo in cui era ancorata la potente flotta olandese. 
Le navi, alla fonda, erano bloccate dal ghiaccio, del tutto immobilizzate. Gli Ussari del 7° Reggimento caricarono le navi sotto il fuoco a mitraglia dei cannoni, le circondarono e le costrinsero alla resa. E fu così che l’intera flotta venne sconfitta da un’unità di Ussari. E’ bene, a questo punto, descriverne la divisa e l’armamento.

I colori del 7° Reggimento erano il verde ed il rosso: verde per la giacca (pelisse) e il dolman, rosso per i calzoni; alla vita era avvolta una fascia, lunga due metri e sessanta, con gli stessi colori distintivi, che con sei giri cingeva la vita; i pantaloni rossi erano guarniti con una banda bianca, così come lo erano gli alamari della giacca, foderata di pelle di volpe rossa, e del dolman; gli stivali erano neri con la tipica “V” guarnita da una nappina, il cappello era nero con un pennacchio colorato. Tipica era anche la “sabretache”, in cuoio nero, che riportava il numero del reggimento, era una tasca portaordini, sospesa con tre cinghie della lunghezza di circa mezzo metro; una larga striscia di cuoio bianco detta rangona, andava dalla spalla sinistra al fianco destro terminante con un gancio fatto a “8”, con una parte mobile apribile, che in seguito sarà detto moschettone perché aveva la funzione di agganciare, in un anello scorrevole, il corto fucile a pietra focaia conosciuto come moschetto, il cui calibro era 17,6 mm. La sciabola era sospesa al fianco sinistro. La sella del cavallo era ricoperta con pelle di montone ed una doppia fonda, sulla destra del cavallo, conteneva due pistole dello stesso calibro del moschetto, sul retro della sella, una custodia di pelle cilindrica, conteneva il mantello cerato.

Francesca Mordacchini Alfani (prima parte) Giancarlo Brachetti (seconda parte)